“La parola desiderio
non definisce infatti un
godimento illimitato, senza
Legge, erratico, privo di
responsabilità, ferocemente
compulsivo e sregolato,
quanto
piuttosto la capacità di
lavoro, di impresa, di
progetto, di slancio, di
creatività, di invenzione,
di amore, di scambio, di
apertura, di generazione”.(1)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Copertina del libro di M.Recalcati (particolare)

 

 

 


 

di Raffaele Zabotto

 

L’educazione in crisi.
Fra tradizione, mode e opportunità

 

Il nostro sistema educativo vive oggi una crisi epocale.
Genitori, insegnanti ed educatori in generale lamentano in modo sempre più evidente una difficoltà nell’essere efficaci nell’arte di aiutare a crescere i giovani di cui si occupano. Dagli anni sessanta ad oggi la cultura educativa ha subito mutamenti decisivi nel tentativo di affrancarsi dalla rigidità dei modelli tipici della cultura patriarcale. Per questo il padre, che per anni ha costituito l’autorità simbolica su cui si fondava l’equilibrio familiare e sociale, è divenuto il bersaglio principale della contestazione giovanile e della critica culturale che ha decretato non solo la sua “evaporazione”(2), per dirla con lo psicoanalista Jacques Lacan, ma più in generale il crollo di tutti i puntelli che avevano costituito l’ossatura del discorso educativo per secoli, forse per millenni.
La spinta al cambiamento realizzatasi prometteva l’instaurazione di pratiche educative che valorizzassero al meglio la persona, liberandone le energie che la Legge del patriarcato teneva imbrigliate. Gli esiti della pars destruens attuata risultano però ad oggi assai controversi.
Si è certamente favorito un clima di maggiore accoglienza e riconoscimento nei contesti educativi, ma al contempo si registrano, come accennato inizialmente, crescenti difficoltà nella realizzazione di percorsi educativi virtuosi. Sono molti gli elementi che portano a ritenere che il disagio vissuto oggi fra i giovani sia un fenomeno che merita una riflessione approfondita.
Non solo in quanto i giovani rappresentano il futuro della società, ma ancor prima poiché essi sono evidentemente lo specchio del mondo adulto che li ha nutriti.
Tale disagio si configura sempre più come una “crisi del desiderio”, una difficoltà a generare passioni, progetti, iniziative e interessi che sappiano dare all’esistenza lo slancio di cui necessita(3). Il crescente uso di sostanze, certificato dalla “Relazione annuale al Parlamento 2015 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia”, costituisce il principale sintomo di un malessere che impressiona, soprattutto se si pensa che nessuna generazione ha avuto nella storia un patrimonio di opportunità paragonabile a quello che la società di oggi offre, da un punto di vista sia economico che culturale.
Diviene necessario chiedersi come i cambiamenti culturali che stanno caratterizzando il presente oramai da alcuni decenni stiano influenzando i modelli educativi vigenti, e soprattutto se questi ultimi siano adatti a condurre i soggetti in crescita verso un’apertura positiva nei confronti del mondo cui sono destinati. L’educazione si reggeva un tempo su concetti cardine, quali paternità, maternità, autorità, limite (Legge), rispetto, comunità, asimmetria educativa, differenza generazionale e così via. Tali nozioni appaiono oggi obsolete, figlie di una cultura superata e retrograda.
La loro destrutturazione pare tuttavia aver generato un vuoto: sappiamo che cosa non vogliamo più, ma non scorgiamo in fondo alcun punto di riferimento, alcun puntello sul quale costruire una cultura educativa nuova e feconda. Il nostro tempo, dice Massimo Recalcati, “sembra essere figlio di una collusione terribile, tra la spinta rivoluzionaria-libertaria sorta dalle istanze critiche più che legittime del ’68 e quella del neoliberismo forsennato, del capitalismo”(4). Entrambe infatti, pur contrapponendosi
radicalmente sul piano ideologico, hanno di fatto contribuito a radicare in noi l’idea che libertà e felicità derivino dalla rimozione dell’elemento del limite. Questa fatale assonanza ha generato un movimento poderoso che ha instaurato una logica educativa fondata essenzialmente sull’idea che ogni valore, ogni riferimento, ogni fattore che limiti l’espressione spontanea del soggetto vadano rigettati e superati.
Molte delle forme del disagio attuale, non solo quello giovanile, hanno a che fare con la fatica del soggetto a rapportarsi con la dimensione del limite. L’individuo è sempre più isolato e narcisisticamente occupato nell’affermazione incontrastata di sé, come detto da Zygmunt Bauman(5).

E’ questo rifiuto del limite che vediamo ad esempio nei cosiddetti bambini iperattivi (disturbo da deficit di attenzione e iperattività), così incapaci di concentrare le proprie energie su una singola attività e costantemente esposti alla sfibrante pulsione di godere di tutto ciò che la loro vista riesce a raggiungere. Le forme del disagio rispecchiano sovente la cultura dell’epoca che le esprime. Se ai tempi di Freud dilagava l’isteria, attribuita dal padre della psicoanalisi al moralismo eccessivo e inibente della cultura borghese del tempo, si vanno oggi diffondendo forme nuove come il cosiddetto disturbo borderline di personalità, nel quale il soggetto si caratterizza per una costante impulsività e ambivalenza sul piano affettivo, relazionale ed esistenziale. Il soggetto fatica a costruirsi un’immagine coerente di sé, a definire un progetto di vita, ad instaurare relazioni che non siano caratterizzate da oscillazioni costanti e drastiche tra dipendenza dall’altro (idealizzazione) e rifiuto (svalutazione), sfociando poi in comportamenti autolesionistici e non di rado nell’abuso di sostanze. Analogamente a quanto avviene nei disturbi bipolari, caratterizzati dall’alternarsi di stati d’animo profondamente negativi (depressione) e spinte emozionali iper-positive (mania, esaltazione del tono dell’umore). Si sta inoltre assistendo ad una sempre maggiore diffusione dei cosiddetti disturbi alimentari. E’ il rapporto con il cibo, veicolo simbolico di significati profondi, ad essere qui caratterizzato da eccessi in negativo (anoressia, rifiuto di mangiare) e in positivo (bulimia, assunzione eccessiva e smodata).

Anche l’uso di sostanze risulta emblematico rispetto alla cultura di riferimento.
Vanno oggi per la maggiore quelle che consentono di sfondare i limiti, di godere sfrenatamente e instancabilmente di qualsiasi esperienza, di trasformare l’esistenza in una costante occasione di piacere.
Un piacere che si traduce in perversione, un godimento che diviene, secondo una bruciante intuizione di Jacques Lacan, “godimento mortale”.
L’elevazione ad assoluto del freudiano principio del piacere si traduce nel suo contrario: la pulsione di morte. Fatti di cronaca recenti confermano tragicamente tale dinamica, facendo emergere un fatale connubio fra disagio psicologico, abuso di sostanze e ricerca del piacere che non accetta alcun limite, alcuna Legge, generando atti di inaudita perversità.
L’esperienza del limite risulta un fattore necessario per la crescita individuale.
L’assenza di limite espone il soggetto ad una pulsionalità tirannica che lo condanna ad una ricerca ossessiva e compulsiva di soddisfazione e godimento. Il desiderio è apertura, legame con l’altro. E’ l’esperienza del limite che ci insegna l’inviolabilità dell’altro e l’impossibilità di assolutizzare il proprio ego. E’ l’esperienza del limite che rende possibile il generarsi del desiderio(6), di quella spinta vitale che caratterizza l’uomo nella sua essenza progettante. Ma come si può recuperare il significato virtuoso del limite in una temperie culturale che spinge in tutt’altra direzione?

Come chi ha proceduto troppo innanzi nel cammino e si è reso conto di essersi perso, dovremmo per un attimo fermarci a riflettere, chiedendoci se ciò che abbiamo ritenuto obsoleto non sia da rigettare completamente, ma da rinnovare, ripensare, rivitalizzare. Riappropriarci della nostra tradizione educativa e dei concetti cardine che la caratterizzavano, facendoci eredi attivi e consapevoli di essa, non per riesumare nostalgicamente gli eccessi del padre padrone, o la rigidità delle istituzioni passate, ma per recuperare l’aspetto virtuoso di ciò che un tempo era valore, principio, punto di riferimento. Una pars costruens, finalmente, che sappia coniugare (non rifiutare acriticamente) la tradizione con le esigenze della vita moderna, valorizzando al meglio quanto l’esperienza ci ha insegnato negli ultimi decenni. In perfetta analogia con l’adolescente che, dopo aver rigettato la cultura genitoriale ed aver vissuto fino in fondo il sacrosanto conflitto tra le generazioni, si riappropria di quanto insegnato dai genitori, facendo sintesi tra il bagaglio ricevuto e le proprie istanze personali, generando una visione nuova della vita liberamente e autonomamente maturata, per diventare finalmente adulto.
E’ venuto meno il tempo di Edipo, che lotta violentemente contro il padre, ma che soccombe alla sua Legge, superato dall’era del figlio Narciso, che rifiuta la Legge, ed è finalmente giunto il tempo di Telemaco, il figlio di Ulisse, che si mette in mare per cercare il padre ed assieme a lui ridare un senso rinnovato alla vita nella terra natia(7).


1 M.RECALCATI, Ritratti del desiderio. Cortina editore. Milano 2012.

2 M. RECALCATI, Cosa resta del padre? Cortina editore. Milano 2010.

3 M. BENASAYAG, G.SCHMIT, L’epoca delle passioni tristi. Feltrinelli, Milano 2004.

4 M. RECALCATI, L’ora di lezione. Einaudi, Torino 2014.

5 Z. BAUMAN, Individualmente insieme. Editore Diabasis, 2008.

6 M. RECALCATI, Ritratti del desiderio, Cortina editore. Milano 2012.

7 M. RECALCATI, Il complesso di Telemaco, Feltrinelli. Milano 2013.